I fatti di Goro e quello che siamo

barricate gorino-2Partiamo dal presupposto che nessun sano di mente si sognerebbe mai di alzare le barricate per negare l’accoglienza a 12 donne, di cui una incinta, che fuggono da guerra e miseria. Eppure questo è successo. Tutti ci siamo sforzati a dare un significato alla vicenda di Goro, dividendoci tra chi ha difeso la ribellione dei residenti definendola una “nuova Resistenza” e chi invece l’ha considerata vergognosa, e non degna di rappresentare il paese. Di cosa si tratta quindi? Di zoticoni razzisti manipolati da parti politiche o di cittadini esasperati in lotta contro le istituzioni? Proviamo a scomporre l’intero caso per identificarne i singoli elementi.

I cittadini protagonisti della rivolta sono quasi tutti vongolari e pescatori di Gorino, un frazione di Goro di 400 anime dove i cellulari non prendono, Internet non arriva e praticamente non ci sono luoghi di aggregazione. Un luogo ai margini, dimenticato da Dio verrebbe da dire. Una comunità isolata costituita fondamentalmente da una fascia sociale a basso livello di istruzione e scarso grado di apertura. Una situazione che probabilmente non aiuta ad empatizzare con chi si trova in difficoltà. Questo, chiaramente, non è una colpa, ma  al contrario è indice di grande vulnerabilità: in un tale contesto trovano terreno fertile xenofobia e intolleranza.

Di conseguenza, l’attività di formazioni estremiste e xenofobe che sfruttano tale situazione catalizzando il malcontento gioca un ruolo rilevante. D’altronde, la zona rientra nel raggio d’azione della Lega Nord, che già da tempo stava organizzando la protesta, e la continua opera di disinformazione sempre condotta da organi schierati politicamente ha sicuramente fomentato odio e rancore.

D’altro canto, la popolazione che ha alzato la voce contro i migranti è anche espressione di quella classe media impoverita a causa dell’interminabile crisi economica. Una categoria socio-economica che credeva di aver raggiunto un livello di sicurezza inalienabile e che ora invece si ritrova a rischio povertà. Il territorio di Goro e del delta del Po è infatti colpito da una crisi economica ed ambientale di grave portata, tuttora al di fuori delle cronache nazionali. Inserendo l’accaduto in questo preoccupante contesto, la protesta assume senz’altro un diverso significato.

Inoltre, la protesta è anche frutto dell’esasperazione per il modo in cui i residenti sono stati trattati dalle istituzioni nella gestione della vicenda. Una vicenda che indica anche il totale dilettantismo con il quale la procedura di accoglienza viene gestita a livello nazionale. Portare dei profughi in un posto che non ne aveva mai visti prima con una ordinanza immediata di requisizione dell’unico ostello presente in città non è stato certo un colpo di genio. Se in questo posto isolato l’unica presenza delle istituzioni si manifesta in situazioni come questa, la reazione della popolazione residente non può che essere di segno negativo. Fermo restando che si è evidentemente ceduto in eccessi, per via delle motivazioni succitate.

Proprio quest’ultimo punto può essere cruciale per interpretare l’intero caso: la spiegazione va fondamentalmente ricercata nella rottura del nesso fiduciario tra cittadini ed istituzioni, aggravata dalla pesante crisi economica. In una situazione diversa, di sintonia con la classe politica al comando, e di sicurezza e stabilità economica, sollevazioni del genere, veicolate dal solo fattore identitario e dall’esigenza di maggiore sicurezza, difficilmente si sarebbero viste. Sembrerebbe una conclusione troppo semplice, ma proprio per questa sua natura spesso si tende ad ignorarla.

Tornando alla domanda di partenza: cosa siamo, quindi? Siamo ignoranti razzisti o cittadini arrabbiati? Siamo il risultato di questa miscela di fattori che si alimentano a vicenda. La povertà, l’emarginazione sociale, l’arretratezza culturale e l’influenza di movimenti xenofobi tendono a generare dei mostri. Questa volta si è trattato di un eccesso, anche se nessuno può ancora dirci se si tratterà dell’unico caso di eccesso.

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Ma i rifugiati non sono immigrati. Tutto il brutto che c’è dietro la rivolta di Tor Sapienza

Possiamo anche prendercela con gli immigrati. Mica vengono tutti in Italia a cercare un lavoro dignitoso e affrancarsi dalla povertà. Alcuni sono qui anche per delinquere, anche se la percentuale di delinquenti italiani e stranieri è pressoché la stessa. Possiamo anche pensare ad un inasprimento della politica migratoria e quindi parlare di restrizione agli ingressi e alla permanenza, di ridefinizione delle quote eccetera, come d’altronde è avvenuto con la legge Bossi-Fini. Sono posizioni perfettamente legittime e in teoria più che condivisibili, a patto che vengano rispettati i diritti fondamentali delle persone.

Ma quando parliamo della questione di Tor Sapienza non stiamo parlando di semplici immigrati. I residenti nel centro di prima accoglienza di viale Morandi sono 72 persone, 36 delle quali minorenni, richiedenti asilo in attesa che la loro posizione venga esaminata. Stiamo parlando quindi di rifugiati, il cui status è disciplinato dalla Convenzione di Ginevra del 1951. I rifugiati sono coloro che emigrano non solo per sperare di trovare una vita migliore, ma soprattutto perché perseguitati dal loro stesso Paese di origine per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a gruppo sociale o opinioni politiche. Trattasi di persone che hanno bisogno di una certa protezione, una protezione che deriva da norme del diritto internazionale.

Di quartieri periferici e disagiati con problemi di integrazione ce ne sono a Roma e in tutta Italia,  ma di situazioni di aggressione ad un centro rifugiati non se ne sente in nessun’altra parte del mondo. Sicuramente la convivenza tra italiani e stranieri non è stata facile e non può essere facile se le istituzioni e le autorità non la gestiscono meglio. Ma è praticamente sorprendente assistere al triste spettacolo dell’odio razzista, perché di questo si tratta. Si trattasse di proteste per condannare determinati episodi di delinquenza da parte degli stranieri del centro, il tutto sarebbe più comprensibile e giustificabile, ma agli stranieri si vogliono addossare tutti i problemi del quartiere Tor Sapienza, un quartiere che da tempo vive una situazione di lontananza e abbandono da parte dell’amministrazione comunale, così come tante altre zone periferiche romane.

La nota preoccupante è che c’è proprio qualcosa che non va se centinaia di persone se la prendono con gli ospiti di un centro rifugiati che per la maggior parte sono minorenni che forse non sanno nemmeno perché sono lì e da dove vengono. A chi imputare quindi le colpe di questa degenerazione? Certo i richiedenti asilo angeli non sono, e se sperano di poter ottenere protezione dallo Stato italiano faranno bene a rispettarne le leggi e a non creare disordini. Certo l’amministrazione poteva trovare un posto migliore dove allocare il centro e garantire magari quella sicurezza e quella cura del quartiere che i cittadini di Tor Sapienza non si vedono garantita. Ma sicuramente è da deplorare il comportamento di tutti quelli che vogliono cavalcare il disagio sociale di una zona difficile per criminalizzare lo straniero e gli immigrati in genere, nel tentativo così di poter risolvere ogni tipo di problema. No, questo non è ammissibile.

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