Categoria: immigrazione
Se serve un’immagine
La diffusione su tutti i media della foto del bimbo siriano morto durante un naufragio e restituito dalle onde su una spiaggia turca sta destando sdegno e sconcerto in tutto il mondo. Sta destando sdegno e sconcerto non solo perché con la sua crudezza rende vivido e palpabile il dramma dell’immigrazione anche a chi lo segue ogni giorno seduto dal divano casa propria, ma soprattutto perché intorno a questa foto si è scatenato un dibattito: se pubblicare o meno un’immagine così forte e terribile. Alcuni giornali hanno deciso di non pubblicarla, ma molti lo hanno fatto. Si è chiesto il rispetto per la morte, un freno ai facili sensazionalismi e se ne è denunciata la strumentalizzazione. Ma tra i pericoli maggiori di tutto questo tam-tam mediatico c’è soprattutto il fatto che, tra qualche giorno, ci saremo già dimenticati del piccolo Aylan e la nostra effimera indignazione “social” svanirà nello stesso modo in cui era sopraggiunta.
Cosa cambia un’immagine? In fondo ogni giorno affogano migranti, e chissà quanti ce ne sono, negli abissi del mare, in attesa di divenire pasto per i pesci. Solo perché questa volta si tratta di un bambino dovremmo indignarci? Un bambino che assomiglia tanto ai nostri (non è nemmeno nero)? Che differenza fa, per esempio, da quei 49 migranti morti asfissiati nella stiva di un barcone lo scorso 15 agosto? O da quei 900 migranti morti perché si è ribaltato il peschereccio sul quale viaggiavano lo scorso 18 aprile? Solo perché non c’è una foto come quella di Aylan non meritano forse la nostra compassione? Una semplice foto, però, questa volta può contribuire a squarciare questo soffocante velo di ipocrisia.
La foto di Aylan serve. La foto di Aylan non è facile sensazionalismo né strumentalizzazione. E la sua rapida diffusione lo dimostra. Una diffusione che è autentica e spontanea. Questa volta non stiamo parlando del piccolo John, il bimbo divenuto simbolo (nel bene e nel male) della campagna di Save the Children, icona del dolore che ci impietosisce all’ora di pranzo. Questa volta la pietà sale dal basso e sconvolge, forse per la sua naturalezza, in modo più incisivo le nostre coscienze. Non si sottovaluti il potere di un’immagine. Sono tanti gli esempi in cui una semplice foto ha cambiato il corso della storia. Si pensi a Kim Puch, la bambina di 9 anni che corre nuda in fuga da un bombardamento al napalm. La foto ha svelato gli orrori della guerra in Vietnam e ha contribuito al ritiro delle truppe Usa. Oppure si pensi alle foto degli ebrei nei campi di concentramento nazisti. Grazie ad esse sappiamo della Shoah ed ogni 27 gennaio celebriamo la giornata della Memoria.
Purtroppo non si possono comprendere appieno le tragedie fin quando non le si vivono. La lontananza, sia in termini di spazio che di esperienze, contribuisce ad aumentare il distacco dalle situazioni reali. I nostri nonni che hanno vissuto sulla pelle il dramma dell’immigrazione perché costretti a emigrare loro stessi, difficilmente proveranno odio o anche solo indifferenza verso i nuovi migranti. E per noi che fortunatamente non sfuggiamo da povertà o guerre un’immagine può facilmente ricongiungerci alla realtà. Forse potrà non bastare. Non sono solo le nostre coscienze doversi smuovere, ma anche e soprattutto quelle dei governi che chiudono le frontiere e che rifiutano soluzioni condivise all’emergenza. Checché se ne dica la foto di Ayalan ha già fatto la storia. Non l’ha ancora cambiata però.
Ma i rifugiati non sono immigrati. Tutto il brutto che c’è dietro la rivolta di Tor Sapienza
Possiamo anche prendercela con gli immigrati. Mica vengono tutti in Italia a cercare un lavoro dignitoso e affrancarsi dalla povertà. Alcuni sono qui anche per delinquere, anche se la percentuale di delinquenti italiani e stranieri è pressoché la stessa. Possiamo anche pensare ad un inasprimento della politica migratoria e quindi parlare di restrizione agli ingressi e alla permanenza, di ridefinizione delle quote eccetera, come d’altronde è avvenuto con la legge Bossi-Fini. Sono posizioni perfettamente legittime e in teoria più che condivisibili, a patto che vengano rispettati i diritti fondamentali delle persone.
Ma quando parliamo della questione di Tor Sapienza non stiamo parlando di semplici immigrati. I residenti nel centro di prima accoglienza di viale Morandi sono 72 persone, 36 delle quali minorenni, richiedenti asilo in attesa che la loro posizione venga esaminata. Stiamo parlando quindi di rifugiati, il cui status è disciplinato dalla Convenzione di Ginevra del 1951. I rifugiati sono coloro che emigrano non solo per sperare di trovare una vita migliore, ma soprattutto perché perseguitati dal loro stesso Paese di origine per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a gruppo sociale o opinioni politiche. Trattasi di persone che hanno bisogno di una certa protezione, una protezione che deriva da norme del diritto internazionale.
Di quartieri periferici e disagiati con problemi di integrazione ce ne sono a Roma e in tutta Italia, ma di situazioni di aggressione ad un centro rifugiati non se ne sente in nessun’altra parte del mondo. Sicuramente la convivenza tra italiani e stranieri non è stata facile e non può essere facile se le istituzioni e le autorità non la gestiscono meglio. Ma è praticamente sorprendente assistere al triste spettacolo dell’odio razzista, perché di questo si tratta. Si trattasse di proteste per condannare determinati episodi di delinquenza da parte degli stranieri del centro, il tutto sarebbe più comprensibile e giustificabile, ma agli stranieri si vogliono addossare tutti i problemi del quartiere Tor Sapienza, un quartiere che da tempo vive una situazione di lontananza e abbandono da parte dell’amministrazione comunale, così come tante altre zone periferiche romane.
La nota preoccupante è che c’è proprio qualcosa che non va se centinaia di persone se la prendono con gli ospiti di un centro rifugiati che per la maggior parte sono minorenni che forse non sanno nemmeno perché sono lì e da dove vengono. A chi imputare quindi le colpe di questa degenerazione? Certo i richiedenti asilo angeli non sono, e se sperano di poter ottenere protezione dallo Stato italiano faranno bene a rispettarne le leggi e a non creare disordini. Certo l’amministrazione poteva trovare un posto migliore dove allocare il centro e garantire magari quella sicurezza e quella cura del quartiere che i cittadini di Tor Sapienza non si vedono garantita. Ma sicuramente è da deplorare il comportamento di tutti quelli che vogliono cavalcare il disagio sociale di una zona difficile per criminalizzare lo straniero e gli immigrati in genere, nel tentativo così di poter risolvere ogni tipo di problema. No, questo non è ammissibile.