Il ritorno di Berlusconi con sollievo

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C’è uno strano sentimento che pervade l’elettorato di sinistra in Italia in questa travagliata stagione politica. In un momento di grande confusione tra partiti, leader, lotte sindacali e civili, populismi di varia matrice fino ad arrivare al ritorno di fascismi e persino nazismi, l’elettore della sinistra si trova in una posizione strana riguardo ad una delle figure politiche che ha da sempre avversato: l’ex cavaliere Silvio Berlusconi. È come se in tutto questo scenario la portata negativa e perniciosa di Berlusconi venisse sovrastata da altri e più imminenti pericoli, e come se il suo ritorno venisse quasi accolto con sollievo, per non dire come una salvezza. Questa pruriginosa e finora impensabile situazione è ben rappresentata dal “gioco della torre”, al quale più o meno seriamente il tipico elettore di sinistra si è prestato.

Tutto comincia con l’intervista a Eugenio Scalfari nella trasmissione “Di Martedì” durante la quale il conduttore Giovanni Floris ha chiesto al fondatore de “la Repubblica” chi sceglierebbe tra il leader di Forza Italia e il candidato premier del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio. La risposta è stata Berlusconi, ed ha destato parecchio scalpore considerato che Scalfari è stato suo grande oppositore fin quasi dal primo momento. Il gioco della torre ha visto Di Maio finire buttato di sotto. Sia chiaro, l’ipotesi del gioco è una forzatura ed una semplificazione della realtà, che non contempla l’esistenza di altre opzioni e non tiene conto del contesto. Tuttavia racconta di una situazione reale, non immaginaria, un dilemma vero. Ed è un dilemma che bisogna avere il coraggio di risolvere, almeno in via astratta, come ha fatto Scalfari scegliendo Berlusconi

La scelta fatta da Scalfari non è incomprensibile e stralunata. Appare, invece, molto più il calcolo ragionato di un navigato esperto di politica. Scalfari sa che Berlusconi non è più il pericoloso animale politico di una volta, capace di piegare il Parlamento al proprio volere e di rendere le istituzioni repubblicane strumenti per la salvaguardia dei propri interessi personali. Nelle intenzioni e nelle capacità, l’ex cavaliere sembra essere piuttosto smorzato. In questo proposito gioca l’età, che avanza per tutti e costringe a riconsiderare progetti e fatiche. Ciò che tuttavia continua a spingere Berlusconi nel suo impegno politico è il forte orgoglio e l’innato spirito da leader, nonché una certa voglia di rivincita nei confronti di chi lo ha voluto vedere fuori dai giochi.

Oltre a quello appena menzionato, ci sarebbero altri motivi per i quali Berlusconi rappresenterebbe allo stato attuale un problema meno preoccupante rispetto a Di Maio. Innanzitutto Berlusconi è un male conosciuto, mentre Di Maio e il Movimento 5 Stelle sono un male ancora incognito. Un governo Di Maio sarebbe un bel salto nel buio, una navigazione in acque sconosciute, per motivi di imprevedibilità nell’azione di governo e di capacità nell’assumere tale ruolo. Inoltre Berlusconi, benché personalità esuberante e talvolta impetuosa, porta in dote con se il moderatismo di una certa destra italiana, con il bagaglio di conoscenze delle pratiche politiche e il senso di responsabilità che caratterizzano alcuni dei suoi esponenti, come il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, già ventilato come candidato premier. Le velleità antisistemiche ed il populismo del Movimento 5 Stelle potrebbero risultare in una azione politica fin troppo rischiosa per il paese. Infine vi è un motivo meno ideologico e più viscerale: il Movimento 5 Stelle si configura come il nemico più vicino per la sinistra, in quanto beneficiario dei voti da essa persi, ed è ora il soggetto politico preferito da quel popolo di operai e classe medio-bassa che una volta si chiamava proletariato e votava in massa per il PCI. Una netta vittoria del Movimento 5 Stelle equivarrebbe alla definitiva sconfitta della sinistra nel rappresentare e convincere un certo popolo. Una vittoria, invece, di Berlusconi tale che la sinistra riesca a difendere parte dei suoi consensi dall’erosione dovuta al Movimento 5 Stelle, potrà essere invece meno indigesta e meno amara.

La formulazione del gioco dice tutto della situazione della sinistra italiana, ridotta, come dimostrano i risultati delle recenti elezioni in Sicilia e ad Ostia, ad un ruolo di secondo piano, indebolita e ridimensionata. Ciò però non deve essere motivo di avvilimento e non deve indurre all’autoflagellazione. Anzi, guardare agli altri ed esprimere delle preferenze serve a non smarrirsi e a ritrovare punti fermi. Se il pragmatismo e il calcolo strategico sono buone virtù in politica, allora per il momento va bene anche Berlusconi.

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“Game of Referendum”: la partita politica dietro il voto del 4 dicembre

Nel marasma generale di una campagna elettorale cominciata fin troppo presto e che a due mesi dal voto ha già raggiunto vette inaudite di esasperazione, sembra già necessario tirare il fiato e prendersi un momento per riflettere. L’esercizio utile in questo caso è guardare oltre l’importante appuntamento elettorale e provare a delineare scenari ed equilibri politici di quella che potrebbe essere l’Italia del dopo referendum. Perché forse è solo così che si può comprendere meglio quello che sta accadendo ora e si può riuscire a dare un senso a tutto il parapiglia.

Come la riforma costituzionale possa incidere su qualità e quantità della produzione normativa e più in generale sulla vita politica del paese è ancora una grossa incognita. Quello che si sa è che si tratta di una riforma rilevante, che andrebbe a modificare profondamente l’ordinamento dello Stato: stiamo pur sempre parlando della revisione di ben 47 articoli della Costituzione. Tuttavia, previsioni e profezie emanate dalle parti a sostegno del Sì e del No appaiono piuttosto esagerate quando dipingono situazioni apocalittiche in caso di vittoria dell’uno o l’altro schieramento. Molto probabilmente non si verificheranno crolli dei mercati e disastri economici, e nemmeno derive autoritarie del paese o marce su Roma. L’esasperazione del confronto non è data dalla passione nel dibattere sul merito della questione, vale a dire sulla scelta di un bicameralismo paritario piuttosto che differenziato, sulla elezione diretta o indiretta dei nuovi senatori, sulla ripartizione di competenze tra Stato e Regioni. La vera posta in palio è un’altra, e riguarda i nuovi equilibri di potere.

Il quadro politico italiano è in piena fase di ridefinizione. L’irruzione del Movimento 5 Stelle con la sua impostazione post-ideologica e la retorica di superamento del classico schema destra-sinistra rappresenta già da qualche anno una novità importante nel panorama politico italiano, ma è con i suoi recenti successi elettorali che è diventato un attore affermato e di primo piano, che ha trasformato il sistema politico italiano in un tripartitismo estraneo alla nostra storia e al quale sembra ancora troppo difficile abituarcisi. Il centrodestra, dal canto suo, dopo l’uscita di scena dello storico leader Silvio Berlusconi è alla ricerca di un nuovo slancio e possibilmente di una nuova identità: per questo è sceso in campo il manager Stefano Parisi che, galvanizzato dal buon risultato ottenuto alle amministrative di Milano, tenta l’impresa.

Quanto al centrosinistra, ridotto ormai al solo PD, le protratte tensioni interne al partito denotano una guerra di posizione tra visioni politiche diametralmente opposte che non aspetta altro che arrivare allo scontro finale. Da sottolineare anche la ormai quasi irrimediabile irrilevanza della sinistra radicale che per lungo tempo nella storia repubblicana ha giocato ruoli di primo piano. Tutte queste situazioni che denotano una certa instabilità nel sistema potrebbero trovare nel referendum costituzionale la via della loro risoluzione, e gli esponenti politici ne intravedono nettamente le opportunità ed i rischi.

A caratterizzare la partita del referendum vi è la figura del premier Matteo Renzi, una delle più importanti novità della scena politica italiana che in questo appuntamento elettorale attende il primo vero giudizio sull’operato del suo governo. La personalizzazione del referendum non ha fatto altro che alimentare le tendenze in atto e incendiare il clima di scontro, divenuto ormai una partita di uno contro tutti. Di conseguenza la posta in palio è divenuta ancora più elevata e ghiotta: se dovesse vincere il Sì Renzi acquisirebbe un consenso incommensurabile, tale da fornirgli una spinta propulsiva incredibile nel suo disegno politico. Un consenso e una legittimazione che nelle sue mani, da leader risoluto e decisionista quale è, rappresenterebbero un pericolo non da poco, ed è proprio questo il vero timore di tutte le opposizioni. La partita del referendum non è perciò né ideologica e né di merito: è una battaglia per la conquista del potere politico che nel migliore dei casi si manifesta come uno scontro generazionale e nel peggiore in una resa dei conti.

Un referendum solitamente cela dentro di se un significato che è maggiore di quello contenuto nel quesito sulla scheda. Ma questa volta la portata della consultazione è davvero di dimensioni epocali, e non per la revisione della Costituzione. Quello è forse l’aspetto meno importante. E non so se sia un bene o un male.

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