I Radicali governano

La morte del leader dei Radicali Marco Pannella, nella sua tristezza come fatto storico, è stata occasione per accendere i riflettori sull’operato del movimento radicale italiano e sulle innumerevoli battaglie per i diritti civili portate avanti nel nostro paese. Purtroppo, ciò è avvenuto con la consueta e stucchevole ipocrisia post-mortem con la quale, dal vicino di casa al controverso personaggio politico, all’estinto vengono riconosciuti meriti per delle azioni che in vita tutti si ostinavano a contrastare. Per Pannella questo è avvenuto con una solennità quasi irritante, che ha visto tutti (o quasi) i protagonisti della politica italiana rendere un devoto omaggio al caro defunto. Ma questo è una tipicità di noi italiani e non vale più nemmeno la pena scandalizzarsi.

Ciò a cui invece vale pena prestare attenzione è la pesante eredità che Marco Pannella lascia ai posteri e l’indubbio vuoto sulla scena politica che sembra così difficile da colmare. Infatti, è incontrovertibile la totale assenza di un paladino dei diritti civili del suo carisma e della sua caratura in un paese che è ancora troppo indietro sul tema. Eppure potremmo non averne più così tanto bisogno. Qualcosa, infatti, sta cambiando. L’approvazione della legge sulle unioni civili è già un (piccolo) segnale. E altri piccoli passi si stanno compiendo: c’è la riforma sulle adozioni, con diverse proposte depositate alcune delle quali prevedono adozioni per coppie omosessuali e single;  ci sono le proposte di legge su testamento biologico ed eutanasia, al momento in commissione Affari Sociali alla Camera. C’è poi la proposta di un folto intergruppo parlamentare per la liberalizzazione delle droghe leggere, tuttora in discussione alla commissione riunita Affari Sociali e Giustizia. Si tratta per il momento di semplici proposte alcune in fase abbastanza avanzata, altre meno. Ma l’indicazione che ne deriva è che l’aria stia finalmente cambiando.

L’attuale governo poi, sembra aver imboccato con particolare convinzione la strada dei diritti civili. La linea del governo Renzi, infatti, checché se ne dica, pare improntata sulla laicità più di quanto non si sia visto in qualsiasi precedente governo. A confermarlo anche le recenti affermazioni del premier dopo l’approvazione delle unioni civili (“non ho giurato sul Vangelo ma sulla Costituzione“) che per fortuna Marco Pannella è riuscito a sentire prima di passare a miglior vita. Purtroppo le resistenze sono ancora tante, e sono pure presenti nella stessa maggioranza, oltre che nell’intero Parlamento. Per questo motivo una vera azione riformatrice di stampo laico e progressista è per il momento fuori questione.

Tuttavia i semi piantati negli ultimi decenni da centinaia di battaglie radicali stanno lentamente germogliando. Lungimiranza e perseveranza sono gli ingredienti che permetteranno di vederne i frutti, e questo i radicali lo sanno bene. Ci vorrà ancora tanto tempo e tanta fatica prima avere il raccolto, ma quel momento arriverà. I radicali sono un movimento politico che, nonostante non abbia mai avuto grandi fortune alle elezioni, si è battuto per temi condivisi e sostenuti dalla maggior parte degli italiani, facendosi portavoce e promotore di epocali cambiamenti nella nostra società. Purtroppo chi non è ancora cambiata è la politica, ed è questo il grande gap da colmare. Che sia Matteo Renzi a farlo? Difficile. Ma il suo contributo c’è.

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Unioni civli ma non troppo

family dayIl dibattito sulle unioni civili che sta spaccando la politica italiana non è, come tutti avranno ormai capito, un dibattito sulle unioni civili. È un dibattito invece sulla possibilità per le coppie gay di avere bambini. Il che va anche bene: significa che abbiamo fatto un passo in avanti. Significa, cioè, che sulle unioni civili siamo tutti più o meno d’accordo, anche su quelle per gli omosessuali: ciò che ci preoccupa di più, invece, è la questione della genitorialità delle coppie gay, e dell’aspetto etico su come i loro figli vengano concepiti. Peccato però che il no a questo argomento farebbe saltare l’intero ddl Cirinnà in votazione alle Camere, e con esso il riconoscimento che aspettano da tempo numerosissime coppie di fatto, non solo gay, ma anche eterosessuali.

Una legge sul tema la si aspettava da tempo, e i tentativi negli anni son stati pure numerosi. I tempi sembravano ormai maturi affinché la politica facesse il passo che la società ha già fatto, ma come al solito quando in Italia si vuole fare qualcosa non c’è verso che la si faccia per bene. Con il risultato che alla fine o non si fa un bel nulla, o si combina un pastrocchio. E i motivi per cui questo ddl Cirinnà può essere definito un pastrocchio sono essenzialmente due: la natura poco chiara e confusa del provvedimento che disciplina le unioni civili ma concentrando tutta l’attenzione sulle unioni omosessuali, e la presenza, in maniera sfortunatamente frettolosa e superficiale, della questione adozioni con l’introduzione della stepchild adoption, una previsione che aggiunge un elemento di conflittualità ad una proposta di legge che, in mancanza, avrebbe potuto superare il dibattito politico e sociale con discreto successo. 

Per quanto riguarda il primo aspetto, se l’intento del governo era quello di riconoscere alle coppie omosessuali uguali diritti rispetto a quelle eterosessuali, e di metterci al passo con il resto dei paesi europei, forse il tentativo non è stato abbastanza coraggioso. Infatti, la soluzione ideale a questo duplice scopo sarebbe stata quella del matrimonio. Una soluzione che non solo non è in contrasto con la nostra Costituzione (che all’articolo 29 sancisce “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” senza escludere le nozze tra persone dello stesso sesso), ma che è anche quella più facilmente praticabile rispetto alle unioni civili, proprio per la centralità data dalla Carta all’istituto del matrimonio. Inoltre, i matrimoni gay sono già previsti in numerosi paesi europei tra cui Spagna, Francia, e Gran Bretagna oltre ai paesi della Scandinavia: ottimi esempi se non vogliamo rimanere indietro.

C’è poi il tema delle adozioni. La stepchild adoption è, in teoria, una misura atta a tutelare i diritti di un minore che, trovandosi in mancanza di uno dei due genitori biologici (per divorzio, separazione o morte del coniuge), può essere adottato dalla nuova famiglia venutasi a formare. Un istituto già presente in Italia per le coppie eterosessuali, ma non per quelle dello stesso sesso. Un diritto senza dubbio da estendere, visto anche il pronunciamento del Tribunale dei minorenni di Roma che ha riconosciuto l’adozione ad un coppia di donne, ma non bisogna prescindere da tutte le conseguenze che questo può comportare. E sì, una delle conseguenze in questo caso si chiama utero in affitto, una questione talmente controversa che nemmeno sinistra e femministe sono compatte, e che andrebbe affrontata con serietà e serenità con tempi e modi diversi. 

Con questo non si vuole dire che il provvedimento sulle unioni civili sia inutile, anzi, le unioni civili sono necessariamente da introdurre nell’ordinamento proprio per ampliare il ventaglio di diritti che una normale democrazia cerca di assicurare. Il problema è che utilizzare le unioni civili come principale strumento per aumentare i diritti degli omosessuali è una mossa sbagliata sia nella teoria che nella pratica. Un vero peccato, perché la legge Cirinnà avrebbe potuto riportare il paese nella modernità dei diritti civili, ma ancora una volta è stata l’occasione per dare fiato ai tromboni del bigottismo.

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