“Game of Referendum”: la partita politica dietro il voto del 4 dicembre

Nel marasma generale di una campagna elettorale cominciata fin troppo presto e che a due mesi dal voto ha già raggiunto vette inaudite di esasperazione, sembra già necessario tirare il fiato e prendersi un momento per riflettere. L’esercizio utile in questo caso è guardare oltre l’importante appuntamento elettorale e provare a delineare scenari ed equilibri politici di quella che potrebbe essere l’Italia del dopo referendum. Perché forse è solo così che si può comprendere meglio quello che sta accadendo ora e si può riuscire a dare un senso a tutto il parapiglia.

Come la riforma costituzionale possa incidere su qualità e quantità della produzione normativa e più in generale sulla vita politica del paese è ancora una grossa incognita. Quello che si sa è che si tratta di una riforma rilevante, che andrebbe a modificare profondamente l’ordinamento dello Stato: stiamo pur sempre parlando della revisione di ben 47 articoli della Costituzione. Tuttavia, previsioni e profezie emanate dalle parti a sostegno del Sì e del No appaiono piuttosto esagerate quando dipingono situazioni apocalittiche in caso di vittoria dell’uno o l’altro schieramento. Molto probabilmente non si verificheranno crolli dei mercati e disastri economici, e nemmeno derive autoritarie del paese o marce su Roma. L’esasperazione del confronto non è data dalla passione nel dibattere sul merito della questione, vale a dire sulla scelta di un bicameralismo paritario piuttosto che differenziato, sulla elezione diretta o indiretta dei nuovi senatori, sulla ripartizione di competenze tra Stato e Regioni. La vera posta in palio è un’altra, e riguarda i nuovi equilibri di potere.

Il quadro politico italiano è in piena fase di ridefinizione. L’irruzione del Movimento 5 Stelle con la sua impostazione post-ideologica e la retorica di superamento del classico schema destra-sinistra rappresenta già da qualche anno una novità importante nel panorama politico italiano, ma è con i suoi recenti successi elettorali che è diventato un attore affermato e di primo piano, che ha trasformato il sistema politico italiano in un tripartitismo estraneo alla nostra storia e al quale sembra ancora troppo difficile abituarcisi. Il centrodestra, dal canto suo, dopo l’uscita di scena dello storico leader Silvio Berlusconi è alla ricerca di un nuovo slancio e possibilmente di una nuova identità: per questo è sceso in campo il manager Stefano Parisi che, galvanizzato dal buon risultato ottenuto alle amministrative di Milano, tenta l’impresa.

Quanto al centrosinistra, ridotto ormai al solo PD, le protratte tensioni interne al partito denotano una guerra di posizione tra visioni politiche diametralmente opposte che non aspetta altro che arrivare allo scontro finale. Da sottolineare anche la ormai quasi irrimediabile irrilevanza della sinistra radicale che per lungo tempo nella storia repubblicana ha giocato ruoli di primo piano. Tutte queste situazioni che denotano una certa instabilità nel sistema potrebbero trovare nel referendum costituzionale la via della loro risoluzione, e gli esponenti politici ne intravedono nettamente le opportunità ed i rischi.

A caratterizzare la partita del referendum vi è la figura del premier Matteo Renzi, una delle più importanti novità della scena politica italiana che in questo appuntamento elettorale attende il primo vero giudizio sull’operato del suo governo. La personalizzazione del referendum non ha fatto altro che alimentare le tendenze in atto e incendiare il clima di scontro, divenuto ormai una partita di uno contro tutti. Di conseguenza la posta in palio è divenuta ancora più elevata e ghiotta: se dovesse vincere il Sì Renzi acquisirebbe un consenso incommensurabile, tale da fornirgli una spinta propulsiva incredibile nel suo disegno politico. Un consenso e una legittimazione che nelle sue mani, da leader risoluto e decisionista quale è, rappresenterebbero un pericolo non da poco, ed è proprio questo il vero timore di tutte le opposizioni. La partita del referendum non è perciò né ideologica e né di merito: è una battaglia per la conquista del potere politico che nel migliore dei casi si manifesta come uno scontro generazionale e nel peggiore in una resa dei conti.

Un referendum solitamente cela dentro di se un significato che è maggiore di quello contenuto nel quesito sulla scheda. Ma questa volta la portata della consultazione è davvero di dimensioni epocali, e non per la revisione della Costituzione. Quello è forse l’aspetto meno importante. E non so se sia un bene o un male.

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