Perché ci piace “La grande bellezza”

No non è vero. Non a tutti è piaciuta “La grande bellezza”. La maggior parte non l’ha capita. Ma ci piace compiacerci per il suo successo, ce ne gongoliamo. È vero che la vittoria di Sorrentino agli Oscar è una riconoscimento importante per tutto il cinema italiano: la produzione è prevalentemente italiana, il cast pure, la storia soprattutto. La storia infatti. Perché questo film ha ottenuto tale successo? Perché proprio questo film e non altre pellicole recenti parimenti valide e belle? Ce ne sono, non stiamo mica messi così male. Il punto è che il film di Sorrentino in patria non ha ottenuto questo grande successo né a livello di critica e né a livello di incassi (il film addirittura non figura nella lista dei primi cento film per maggiore incasso in Italia).

“La grande bellezza” ha avuto un enorme successo all’estero. Prima dell’Oscar aveva anche vinto un Bafta (l’equivalente Oscar britannico), un Golden Globe (assegnato dalla stampa cinematografica statunitense) e quattro European Film Awards oltre ad altri premi. Cerchiamo di capire come ha fatto questo film ad ottenere tutto questo successo oltreconfine quando in Italia è stato accolto con tiepidezza e a tratti con disappunto e sconcerto. Potrebbe essere perché siamo il Paese dei Checco Zalone e da noi trionfano solo film facili e leggeri, niente di impegnativo. Potrebbe essere anche perché siamo un popolo masochista che non apprezza ciò che viene fatto in patria, che critica ciecamente, che è cattivo con se stesso, e cerca all’Estero e nelle produzioni holliwodiane la qualità del cinema. E questa non è una brutta caratteristica, aiuta a fare sempre di meglio, anche se di pari passo va accompagnata con la possibilità di riconoscere e premiare i meriti, particolarità che proprio noi in Italia no.

Oltre ai soliti meccanismi che portano i film ad aggiudicarsi premi di prestigio, come perfettamente descritti in un articolo di Wired,  secondo me c’è un altro motivo. E ritornando a quanto avevo già sottolineato più su, questo è la storia. La storia parla di bellezza, lo si evince fin da subito dal titolo. E noi all’Estero siamo famosi proprio per la nostra bellezza. La moda, i paesaggi, il design, è inutile persino ribadirlo. Questa storia a noi non ha emozionato perché parla di qualcosa a cui forse siam fin troppo abituati. Oppure, pericolosamente, perché parla di qualcosa che noi non sappiamo più riconoscere. Temo che sia anche per questa seconda ipotesi, e soprattutto riguardo ai giovani. In quanti vanno ancora in visita ai musei, in quanti passano una serata a teatro e quanti italiani preferiscono trascorrere le vacanze in una città d’arte? Sempre meno.

Per una volta un film italiano è riuscito a parlare della bellezza del nostro Paese. Non solo della bellezza, sia chiaro: facendo ciò il regista ha raccontato e dimostrato anche quanto di brutto c’è in Italia. I vizi, le esagerazioni, gli insipidi salotti, il chiacchiericcio dal quale infine il protagonista Jep Gambardella vuole fuggire nonostante ne avesse fatto parte da tempo: solo così è possibile ritornare alla Grande Bellezza. Che sono gli amori, i gesti sinceri, ma anche i paesaggi, una giornata di sole, il mare. Questo forse ci è sfuggito del film, e ci siamo invece fatti ingannare dalle scene talvolta grottesche e incomprensibili, dalla trama piuttosto confusa, da un racconto della mondanità per noi ai limiti dell’esagerazione.
Non si può negare che probabilmente all’estero questo film è piaciuto perché ha giocato molto con gli stereotipi: un popolo festaiolo, dove ci sono tante belle donne, pieno di salotti e molto facile agli eccessi. È facile vincere così fuori. Diamo agli altri quello che si aspettano di ricevere. Molto meno facile è vincere così in patria.

Noi preferiamo film dove ci autocommiseriamo, storie di insuccessi e di difficoltà che raccontano la nostra realtà così com’è davvero. Cose che è giusto raccontare ma che difficilmente possono piacere ad altri che non vivono le nostre stesse esperienze. Inoltre i nostri film sono quasi esclusivamente autoreferenziali, prodotti per essere consumati in patria, secondo una specie di autarchia cinematografica. Raccontano delle nostre differenze interne, di storie di paesello, giocano con i dialetti. Non si propongono di proiettarsi al di fuori dei confini nazionali. “La grande bellezza” invece ha cercato di fare questo. Ha voluto l’apprezzamento internazionale e l’ha ottenuto. Questo non capita molto spesso al nostro cinema, ma perché a noi in fondo va bene così.
E allora facciamoci piacere “La grande bellezza” e godiamoci questa vittoria e questo successo affinché ci ricordino che, nonostante tutto, siamo un Paese di grande bellezza.

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