Il caso Riina junior, tanto rumore per nulla

Come un fulmine a ciel sereno, tra scandali petroliferi, ministri che si dimettono, pericoli terrorismo e crisi di migranti varie, uno nuovo caso mediatico è scoppiato. È la tanto contestata partecipazione al programma tv “Porta a Porta” di Salvo Riina, il figlio del boss di Cosa Nostra Totò Riina, condannato ad innumerevoli ergastoli. Una avvenimento che ha destato un clamore alquanto eccessivo e che ha generato una serie di polemiche ancora prima che la puntata andasse in onda e che continuano ben oltre la data della trasmissione. Un polverone mediatico piuttosto incomprensibile, principalmente per due motivi.

Prima di tutto, perché non è la prima volta che un mafioso va in tv. Enzo Biagi già ne intervistato diversi, da MIchele Sindona a Luciano Liggio a Raffaele Cutolo. Michele Santoro non è stato da meno, portando sul piccolo schermo Rosario Spatola, Enzo Brusca e recentemente Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo condannato a 8 anni di reclusione per associazione mafiosa e corruzione. In secondo luogo, proprio pochi giorni fa, il 4 aprile, Salvo Riina è stato intervistato dal “Corriere della Sera” sempre per lo stesso motivo: l’uscita del suo libro. Ma nessuno lo sa. Perché allora così tanto clamore per la sua intervista a “Porta a Porta”?

Qualcuno ha rinnovato la solita polemica sull’uso improprio del servizio pubblico. Una polemica ormai sterile e superficiale, che viene usata arbitrariamente ad ogni giro. Infatti, quale sia davvero il ruolo del servizio pubblico nessuno lo ha mai capito; in fondo vorremmo che trasmettesse programmi e informazioni che ci pare e piace, ma a quel punto non sarebbe più un servizio pubblico ma privato. Questa è comunque un’altra storia. Il vero problema in realtà è che ad intervistare Riina junior sia stato Bruno Vespa, quel giornalista che ci ha già abituato ad ospitate controverse (vedi la vicenda dei Casamonica), e ad interviste non proprio scomode, anche definite “scendiletto”.

Ma come si evince dalle stesse parole di Vespa che introduce il colloquio oggetto della diatriba, si tratta di un’intervista senza nessuna ambizione giornalistica o d’inchiesta, che ha conosciuto il suo successo grazie allo scalpore mediatico sicuramente voluto e ricercato. L’intervista viene proprio presentata come un “ritratto” della vita della famiglia del mafioso più famoso d’Italia. Una piccola indagine senza troppe pretese, che però contribuisce a svelare la banalità del male che si annida nella nostra società, e che può avere tratti e manifestazioni a noi sconvolgenti.

Ma fondamentalmente non si è trattato altro che di una operazione di marketing ben riuscita. L’esca è stata lanciata a dovere ed i pesci hanno abboccato: Vespa continuerà a dare notorietà ed audience alla sua trasmissione, Salvo Riina riuscirà a vendere svariate copie di un libro probabilmente inutile ed insignificante, pubblicato da una casa editrice semi-sconosciuta. Vespa è un giornalista astuto e navigato, che sa solleticare gli umori della gente. Il suo programma compie vent’anni e le celebrazioni richiedono gli immancabili botti. Stolti noi che abbiamo scambiato un piccolo petardo per fuochi d’artificio.

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