L’uomo che fa tremare il mondo

Nella storia dell’umanità ci sono sempre stati individui singoli che, in diverse misure, hanno fatto paura al resto del mondo, a milioni e milioni di altre persone. Tiranni, condottieri, dittatori, terroristi: i modi per seminare paura sono tanti, e tutto può dipendere dalla brama, dalle manie, dal furore di un singolo individuo. Ne può bastare uno. Nell’attuale società globalizzata, complessa e interconnessa, dove un avvenimento in una parte del mondo può avere ripercussioni in un’altra parte a migliaia di chilometri di distanza, e dove le informazioni corrono più veloci del vento, la paura e la preoccupazione si disseminano con estrema facilità e gli effetti dei comportamenti di uomini potenti pure.

Non è facile emergere come uomini temibili al giorno d’oggi: c’è tanta concorrenza. Si può, ad esempio, essere presidenti degli Usa, cioè della (a dispetto di ciò che pensano i declinisti) più grande potenza mondiale. Ma non può essere questo il caso, la più grande potenza mondiale si considera anche la più grande democrazia mondiale ed il timore con la democrazia è un abbinamento di pessimo gusto. Oppure, se si vuole fare paura al mondo, si può essere a capo di un grande movimento terrorista internazionale come Al Qaida. Ed infatti fino al giorno della sua morte Bin Laden è stato l’uomo più ricercato, più temuto, più pericoloso al mondo. Ma ora non c’è più e i suoi successori sembrano non essere all’altezza del passato ruolo, tant’è che anche l’organizzazione fondamentalista islamica ne risente. Era toccato ad Ahmadinejād prendere il posto di cattivo, con la sua retorica antisionista, antioccidentale, e le repressioni antidemocratiche. Ma poi la fase “canaglia” dell’Iran è passata di moda, il potere religioso ha deciso che era meglio fermarsi un attimo, e il popolo persiano ha dimostrato, con le elezioni, che non si può rischiare di rimanere isolati dal resto del mondo. Dopodiché, sulla scena del crimine, è subentrato Bashar al-Assad, il sanguinario presidente della Siria, entità territoriale e politica ancora dall’incerto destino, tribolata da una guerra civile che si trascina lentamente con il suo pesante carico di vittime, abbandonata ormai dai riflettori dei principali media.

Ma l’uomo più temuto ora è un altro: una vecchia conoscenza della politica internazionale, un osso duro della politica russa, una volpe al Cremlino come non se ne vedevano da tempo. Si tratta del presidente della federazione russa Vladimir Putin, ovviamente. Ai vertici della politica russa da ben quattordici anni (e chissà per quanti altri ancora), Putin è riuscito a riportare la Federazione in un ruolo da comprimario nella determinazione degli equilibri geopolitici e geostrategici mondiali. Dichiarato da Forbes uomo più potente del mondo nel 2013, il presidente appassionato di judo e automobilismo, figura che si è fatta quasi mitica nel sentimento nazionalpopolare, è riuscito a far risorgere il Paese erede dell’Unione Sovietica, dal disordine della dissoluzione e dal collasso economico e finanziario degli anni ’90, portando a compimento quella transizione che per un decennio stentava a realizzarsi. Una transizione che doveva portare il Paese da un regime autoritario quale quello comunista e dirigista ad una democrazia di libero mercato. Ma questa transizione, sebbene corredata da riforme in senso liberista (alcune ultraliberiste), non ha portato alla formazione di una democrazia pluralista. Anzi, si è giunti alla affermazione di un nuovo sistema definito Putinismo, il quale consiste in un mix di gestione personale e accentrata dell’apparato statale, affidando le cariche principali a uomini fidati (quasi sempre siloviki), economia basata sulla bassa tassazione ma sostenuta spesa pubblica (le casse dello Stato si finanziano quasi esclusivamente dagli introiti derivanti dall’esportazione di energia), autoritarismo e antidemocraticismo che vuole sfociare in un sistema politico a partito unico, condito da un rinverdito patriottismo nostalgico dei fasti del comunismo. Ma si sbaglia se si vede nella Russia di Putin una riformulazione dell’Unione Sovietica, piuttosto la si può intendere come la Russia zarista, per l’aspetto autocratico del sistema politico, verticistico e subordinato alla figura del nuovo zar Putin (e non alla preminenza del partito), nonché per la natura della politica estera, di tipo espansionistico, mirata a quantomeno influenzare i “pezzi” del vecchio impero, nell’intento di riappropriarsi di quel grande spazio euroasiatico che definiva la grande potenza mondiale.

L’annessione della Crimea (penisola che si affaccia sul Mar Nero nel territorio ucraino ma a maggioranza russa), e i successivi tumulti nell’Est dell’Ucraina, dimostrano questo nuovo slancio espansionistico della politica estera russa e l’aspetto minaccioso che essa può avere nei confronti dell’Occidente che ora sembra ritornato ad essere blocco in un rinvigorito clima da guerra fredda. Ma è illusorio credere che si possa ricadere nelle logiche bipolari che hanno caratterizzato il mondo per cinquant’anni. L’ideologia non è più un motore incessante con il quale si giustificano scelte economiche, sociali e militari. L’uomo vuole adeguarsi sempre di più a questa modernità che gli permette di assicurarsi un soddisfacente status economico. La crescita e la stabilità economica, prima di tutto. E, richiamando un precedente esempio, è anche quello che è successo in Iran, dove le sanzioni economiche ONU e UE che hanno portato sull’orlo del baratro il Paese, hanno pesantemente condizionato gli ultimi risultati elettorali in favore del moderatismo. 

Una cosa importante da capire è se Putin faccia sul serio: se, cioè, il suo gesto riguardo l’annessione e, in generale la sua comprovata volontà di potenza perseguano un effettivo ribaltamento degli equilibri mondiali, una nuova sfida all’Occidente, oppure siano semplicemente estemporanee dimostrazioni di forza, figlie del narcisismo e della vanità dell’uomo solo al comando. Putin, scaltro personaggio cresciuto a pane (probabilmente anche poco) e KGB, uomo di potere e di istituzioni non può non essere dotato di una sufficiente dose di realismo che gli permetta di leggere la situazione. Spetterà al resto del mondo reagire comportandosi senza eccessivo clamore a certe velleitarie mosse putiniane (qui se ne parla meglio). Probabilmente, quindi, tremare di Putin è una eccessiva reazione se solo si cerca di mantenere la calma e la freddezza, tenere bassa l’adrenalina, e non aizzare il cane bizzoso. 

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