La guerra in streaming dell’IS tra social network e sogni di califfato

La terribile guerra nel nome dell’Islam condotta dal neo ed autoproclamatosi Stato Islamico (IS) non è una guerra come tutte le altre. Quello di cui il gruppo terroristico fattosi Stato si sta rendendo protagonista è un nuovo modo di concepire le ostilità, un nuovo modo di diffondere la paura, un nuovo modo di parlare al mondo occidentale. E ciò non è dovuto alle efferate decapitazioni, alle crudeli crocifissioni o ai cruenti massacri degli infedeli. Questo genere di atrocità sono in realtà grosso modo perpetrate off-the-record dovunque vi sia la presenza di gruppi fondamentalisti, e cioè in parecchi posti nel mondo.

Ciò che caratterizza l’IS è invece la cura e l’attenzione con cui utilizzano i mass media, e soprattutto i social media, per amplificare il loro messaggio di guerra e di terrore. I mezzi di comunicazione sono diventati nelle loro mani una potentissima arma forse ancora più efficace delle abbondanti scorte di kalashnikov su cui possono fare affidamento.
Che il terrorismo si servisse del potere della comunicazione per raggiungere i proprio i scopi, era già un aspetto noto, quasi ovvio e scontato, dal momento che terrorismo implica diffusione, propagazione, contagio della paura nella mente dello spettatore. È dunque inevitabile che il terrorismo assuma una relazione quasi simbiotica con la comunicazione. Ricordiamo ancora troppo bene i videomessaggi di Osama Bin Laden, nei quali l’ex capo di Al Qaida lanciava anatemi contro l’Occidente. Ma quei monotoni clip a bassa risoluzione sono ora stati sostituiti da ben più cinematografici (genere horror/splatter) video in HD ad opera del califfato più virtuale che ci sia
La guerra in streaming dell’IS porta le atrocità e le barbarie dei tempi remoti verso nuove frontiere: il mix letale di jihad e social network spalanca le porte all’orrore che entra direttamente nella quotidianità delle nostre vite digitali, suggellando una macabra e perversa logica del “selfie col morto.” 
Ma aldilà dello shock e del turbamento,  quali sono le ragioni per cui l’IS ha deciso di manifestare on-line le sue nefandezze? Quali vantaggi può trarre da questa strategia? E, più generalmente, qual è la reale portata, non solo virtuale, ma anche geopolitica, di questo nuovo soggetto?
La svolta “social” del gruppo jihadista che opera tra Siria ed Iraq, e sogna di ristabilire un grande califfato per riunire sotto un’unica autorità tutti i musulmani, è arrivata per due motivi: uno è la natura assai giovane e ampiamente tecnologizzata del movimento di lotta islamica, l’altro è un fine assai pratico: la facilità di proselitismo che offre il web. Infatti, grazie a internet, l‘IS è riuscito ad arruolare tra le sue fila migliaia di combattenti provenienti dall’estero e soprattutto dall’Occidente, che si sono convertiti alla causa dell’Islam. È indubbio che l’ISIS abbia portato la guerra ad un altro livello. Ormai il campo di battaglia non è più solo quello reale, fatto di polvere e trincee, ma anche quello virtuale. L’IS ha sposato una logica di grassrooting grazie alla quale è riuscito a sviluppare un considerevole contingente di forze che opera su tastiera tramite Twitter, Facebook e Instagram, ottenendo, inoltre, un notevole numero di followers e una grande quantità di like. Grazie a questo approccio, essi sono già riusciti ad affermarsi sugli altri gruppi fondamentalisti islamici, meno avvezzi all’uso delle nuove tecnologie.

Tuttavia, l’ostentazione della violenza e dell’odio on-line sembra essere fatta più per impressionare che per dimostrare autentiche  forze in campo. L’IS ha ancora troppi nemici dal notevole peso specifico per poter realmente pensare di realizzare i proprio sogni di gloria. 
Prima di tutto c’è il nemico interno. L’ex ISIS è solo l’ultimo arrivato in una galassia di formazioni fondamentaliste in rivalità anche tra loro. Al Qaida, tramite il suo numero uno Al Zahawairi ha già sconfessato il movimento di Al Baghdadi, definendolo troppo estremista e radicale. Secondo, c’è un attore molto importante nell’area che spesso non viene ricordato e che non è da non sottovalutare: l’Iran. Lo Stato sciita si trova alle porte di casa un nemico pericolosissimo che odia tanto i miscredenti occidentali quanto i “traditori” della vera fede islamica. E perciò non è da escludere un più ampio impegno dell’Iran in questo teatro di guerra, anche in cooperazione con Paesi con i quali non intrattiene felici rapporti come, per esempio, l’Arabia Saudita. L’Arabia Saudita è un altro attore fondamentale nel palcoscenico mediorentale, preoccupato come altri dell’ascesa dell’IS. L’estremismo e il populismo di quest’ultimo sono motivi di agitazione per la monarchia di casa Saud che teme di vedersi spazzata via da un ondata di Islam dal basso. Poi c’è la Turchia, che si ritrova ad essere la vittima di un effetto boomerang scatenato da una politica estera a sostegno delle opposizioni ad Assad, ISIS compreso, e che ora vede lo Stato Islamico una minaccia che bussa alla porta di casa, prova ne è la cattura di 49 turchi tenuti come ostaggi dalle milizie di Al Baghdadi. Finora la Turchia non ha fatto molto per impedire l’espansione dell’IS, ma è arrivato il momento che si rendi anch’essa un attore attivo nella lotta contro il terrorismo islamico: la Turchia è un paese troppo importante nella zona per poterne fare a meno. Più defilato, invece, Israele, che non vuole gettarsi nella mischia di guerra che, per il momento, non pone troppe minacce alla sicurezza dello Stato ebraico.
Infine l’Occidente. Esso non è un last but not least. Se sono stati elencati prima gli attori regionali è proprio perché essi possono avere un ruolo maggiore nella risoluzione della crisi mediorientale piuttosto che il mondo occidentale. La linea in politica estera di Obama è chiaramente quella di smarcarsi dai più cruenti e complicati teatri di guerra nel mondo, anche se gli USA non possono drasticamente dismettere i panni di gendarme del mondo, soprattutto quando vengono direttamente tirati in ballo dai terroristi (che decapitano suoi cittadini o che dichiarano di “alzare la bandiera di Allah sulla Casa Bianca”). Resta il fatto che le bombe sganciate dall’alto, sebbene utili a distruggere i punti logistici dei fondamentalisti, non riusciranno mai a dare stabilità alla zona, e in questo sono indispensabili gli attori regionali.
Date le circostanze, quindi, spargere sangue on-line difficilmente permetterà a all’IS di stabilire il califfato islamico, ma se non altro avrà contribuito ad una nuova evoluzione della guerra, che integra in modo professionale l’aspetto della comunicazione web, e che coniuga perfettamente lo sfizio dell’apparire della società moderna con il fine pratico dell’arruolare della guerra come è sempre stata. 

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